Storia ed emozioni dall’isola di San Pantaleo

Storia ed emozioni dall’isola di San Pantaleo

La nuova scoperta della “Giovinetta di Mozia”

di Federica Sbrana

“Storie dalla terra” si intitolava il celebre Manuale di scavo di Andrea Carandini, autentica pietra miliare dell’Archeologia intesa come scienza della stratigrafia e dunque come insostituibile strumento di esplorazione del passato, nel disciplinato e rigoroso tentativo di ridisegnarne il “palinsesto” a beneficio dei contemporanei. Gioco impareggiabile di vicinanze e lontananze, di luci e di ombre, di distruzioni e ricostruzioni, l’Archeologia conosce e pratica la logica speciale del sommerso, attuando sorprendenti miracoli di rinascita. La sua grammatica profonda, capace di narrazioni emozionanti, ha a che fare con l’essenza più intima della realtà e nutre l’ambizione di risalire, passo dopo passo, addirittura all’arché dei fenomeni. Alle sue spalle c’è dunque il mito delle origini e delle radici ma basato sulle reliquie, intese come preziose sopravvivenze della vita materiale e spirituale delle civiltà. E’ in tale scenario epistemologico e “filosofico” che la recente scoperta, avvenuta a Mozia, di una statua greca in marmo raffigurante una figura femminile in posa incedente, databile al periodo tardo-arcaico (fine VI – inizi V sec. a.C.) assume il suo valore più alto. Affascinante e ulteriore tassello di un mosaico ancora in costruzione, quello della koinè fenicio-punica del Mediterraneo occidentale, la “Giovinetta di Mozia” è stata rinvenuta l’8 luglio scorso, mutila della parte superiore, dalla Missione archeologica dell’Università di Palermo dopo sette settimane di scavo. Un ritrovamento eccezionale, come spiegato dalla Direttrice scientifica Paola Sconzo, per almeno due motivi: perché “in Sicilia sono rarissimi gli esempi di statue greche risalenti a questo periodo, ma soprattutto perché la statua è stata trovata in un contesto non greco, ma punico”. E questo naturalmente consente di approfondire i diversi aspetti di un’ibridazione fra culture “lontane” e al tempo stesso “vicine”, nella direzione di un complesso, dinamico e affascinante sincretismo non sempre pacifico, ma in ogni caso alla base della nostra identità.

Girolama Fontana, Direttore Generale della Fondazione Whitaker: “La statua una meravigliosa sorpresa che ha provocato in me un’emozione grandissima” 

“Non nascondo il mio entusiasmo e quello di tutta la Fondazione per questo nuovo rinvenimento che veramente ci ha dato tanta emozione”. – ha esordito Girolama Fontana, Direttore Generale della Fondazione Whitaker e già Soprintendente per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani, aprendo il 6 ottobre scorso l’incontro sull’Isola di Mozia per la presentazione alla stampa e al pubblico della nuova scoperta. L’Arch. Fontana ha ringraziato l’Assessore ai Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Francesco Paolo Scarpinato, l’On. Stefano Pellegrino, Deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana e tutte le Fondazioni, gli archeologi e gli studenti universitari presenti, ricordando l’importanza di un’efficace valorizzazione ed esposizione non solo della nuova statua ma dell’intero patrimonio conservato all’interno del Museo Whitaker, allo scopo di migliorarne la fruizione secondo standard più elevati e moderni. “Ero andata a salutare a luglio la Prof.ssa Paola Sconzo mentre si stava chiudendo la campagna di scavo e ho trovato quel giorno questa meravigliosa sorpresa che ha provocato in me un’emozione grandissima – ha ricordato Girolama Fontana – Si amplia così l’offerta culturale del nostro “piccolo”, “grande” Museo che dispone di un patrimonio immenso”.

Il Sovrintendente per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani Riccardo Guazzelli, dopo aver portato i saluti dell’Assessore regionale Francesco Scarpinato e del Direttore generale del Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Mario La Rocca, assenti per concomitanti impegni istituzionali, ha sottolineato l’importanza strategica delle sinergie fra soggetti, Enti ed Istituti universitari, a partire dalla Missione archeologica dell’Università di Palermo, che ha consentito nel corso degli anni di acquisire costantemente informazioni sul contesto storico, socioeconomico, politico e culturale dell’Isola, autentico crocevia fra il mondo fenicio e quello greco. “Due mondi diversi – ha affermato che si scontravano, ma dialogavano fra loro. Ed è da questa sintesi che è nata la splendida civiltà mediterranea: una fusione che non dobbiamo dimenticare soprattutto in momenti di crisi come quelli che stiamo vivendo”. 

Il Presidente della Fondazione Whitaker, Paolo Matthiae: “Quella di oggi è una giornata di studio, ma anche di festa per l’eccezionale ritrovamento e la presentazione scientifica, ad opera della Missione dell’Università di Palermo condotta da Paola Sconzo e Aurelio Burgio, della Giovinetta di Mozia”

“Sono con voi non solo formalmente ma anche umanamente – ha affermato in un messaggio inviato ai presenti il Presidente della Fondazione Whitaker Paolo Matthiae, trattenuto a Roma da precedenti e improrogabili impegni – avendo vissuto gran parte della mia vita da “archeologo militante”. La Fondazione Whitaker ha sempre tenuto molto a collaborare con le varie Soprintendenze regionali competenti per facilitare l’attività di diverse Università e Centri di ricerca in quest’isola meravigliosa che vide l’interesse, il passaggio o l’attività di personaggi famosi non solo in Italia, come Heinrich Schliemann, Giuseppe Garibaldi e Joseph Whitaker. Io stesso la visitai per la prima volta, giovanissimo, quando era ancora in vita Delia Whitaker, seguendo poi per molti anni gli scavi che vi condusse per l’Università di Roma La Sapienza l’indimenticata Antonia Ciasca, spesso con la collaborazione di mia moglie Gabriella Scandone, egittologa. Quella di oggi è una giornata di studio, ma anche di festa per l’eccezionale ritrovamento e la presentazione scientifica, ad opera della Missione dell’Università di Palermo condotta da Paola Sconzo e Aurelio Burgio, della Giovinetta di Mozia, un originale greco del periodo tardo-arcaico, sfortunatamente ritenuto mancante della metà superiore. Questa scoperta di un’opera greca più antica, di notevole pregio, rinnova i fasti del celeberrimo Giovane di Mozia, uno splendido originale ellenico della metà del V secolo avanti Cristo enigmaticamente pervenuto nella grande colonia fenicia insulare, ma certo di una qualità artistica degna dei grandi maestri greci del tempo”.  

Valentina Favarò, Direttrice del Dipartimento Culture e Società dell’Università di Palermo, ha quindi portato i saluti del Magnifico Rettore Massimo Midiri e del Direttore Generale Antonio Sorce, assenti per sopraggiunti impegni istituzionali. “L’evento di oggi – ha affermato – va letto in un contesto di più ampia durata e si inserisce in un percorso che ha avuto inizio alla fine degli Anni Settanta quando l’Isola di Mozia è diventata centrale nelle attività degli scavi con il lavoro di Vincenzo Tusa”. La Direttrice del Dipartimento ha sottolineato le difficoltà legate alle Missioni archeologiche esprimendo il suo compiacimento per il lavoro svolto a Mozia anche grazie alla collaborazione di molti giovani studiosi. Un valore aggiunto – ha precisato – che ha la sua prima declinazione nella crescita e nella formazione degli studenti. La Prof.ssa Favarò ha quindi ringraziato i Direttori scientifici Paola Sconzo ed Aurelio Burgio, auspicando una prosecuzione costante delle sinergie e del dialogo messo in campo con le Istituzioni locali e nazionali. 

Il Prof. Aurelio Burgio, Direttore scientifico della Missione insieme alla Prof.ssa Paola Sconzo, ha quindi ringraziato il Soprintendente ai Beni Culturali, la Direttrice del Dipartimento Culture e Società, il Rettore e il Direttore generale dell’Università degli Studi di Palermo, per un’attività che è riuscita a creare collaborazioni feconde e fattive. Aurelio Burgio ha sottolineato anche il ruolo del precedente Direttore scientifico Gioacchino Falsone e il merito della Prof.ssa Paola Sconzo per aver ripreso i lavori nell’Area K dell’Isola di Mozia. Un riconoscimento particolare è stato quindi tributato agli studenti per la loro dedizione ed abnegazione, come anche alla Fondazione Whitaker. “Uno degli aspetti che “torna indietro” dal lavoro dell’archeologo è la continua relazione con il territorio che si trova intorno al luogo di cui ci occupiamo scientificamente. – ha osservato – Se noi non riusciamo ad appassionarlo, abbiamo fatto soltanto una parte del nostro lavoro”. 

Prof.ssa Paola Sconzo, Direttrice scientifica della Missione: “Noi abbiamo una scultura greca in un ambiente punico. Un prodotto artistico di pregio nel perimetro di un quartiere di artigiani, in particolare di vasai, e tutti questi aspetti ci restituiscono un quadro che è quello di Mozia, specificamente nel V secolo a.C.”

La Prof.ssa Paola Sconzo, Direttrice scientifica della Missione, ha sottolineato come il ritrovamento della statua marmorea confermi il carattere di pluralità dell’area storico-culturale dell’Isola di Mozia e la complessità delle sue interazioni con il passato, il presente e il futuro. “Noi abbiamo una scultura greca in un ambiente punico. – ha spiegato – Un prodotto artistico di pregio nel perimetro di un quartiere di artigiani, in particolare di vasai, e tutti questi aspetti ci restituiscono un quadro che è quello di Mozia, specificamente nel V secolo a.C.: un’isola capace di accogliere, integrare, convivere, connettersi e anche ibridarsi, in qualche modo. E secondo me – ha aggiunto – questa è proprio la cifra di Mozia, quella che noi semplicisticamente e spesso anche in maniera scorretta chiamiamo colonizzazione e abbiamo sempre definito in termini di opposizione e dicotomia. Ecco, alla prova dei dati invece, e la Giovinetta è uno di questi dati, si tratta di un passato molto più complesso di come ce lo siamo raccontato, forse anche per giustificare un presente che sempre più tende a radicalizzare conflitti, a disconoscere le matrici comuni e anche ad esasperare le opposizioni. Noi invece preferiamo raccontare una storia che è quella di Mozia: una storia di popoli, di convivenze e di approcci al plurale”. Paola Sconzo ha quindi ricordato l’importanza delle sinergie multidisciplinari ed interdisciplinari che consentono di leggere il manufatto e il contesto a più livelli, quindi anche da prospettive diverse.  “Assolutamente virtuosa – ha osservato – la collaborazione con la Prof.ssa Maria Luisa Saladino, con cui abbiamo immediatamente avviato le analisi diagnostiche sulla statua, subito dopo il rinvenimento”.

Di estrema rilevanza – ha sottolineato ancora – anche il dialogo con il LAMA (Laboratorio di Analisi dei Materiali Antichi) di Venezia e quello con gli stakeholders, in particolare l’Azienda Tasca d’Almerita grazie al cui sostegno è stato possibile effettuare l’intervento di pulitura della statua.  

Paola Sconzo ha ribadito l’importanza di una migliore contestualizzazione museale ricostruendo le diverse fasi del ritrovamento all’interno dell’officina di vasai dell’Area K. “È una scultura a tutto tondo e riproduce una figura femminile di dimensioni un po’ più piccole del naturale, di cui manca tutta la parte superiore. Originariamente era composta da due blocchi poi assemblati attraverso due perni quadrati”. “Quando l’abbiamo trovata – ha raccontato – il marmo sembrava giallastro. La superficie aveva incrostazioni soprattutto nei punti in cui aveva aderito per così tanto tempo con l’argilla. Le analisi fatte immediatamente non hanno determinato la presenza di alcun tipo di pigmenti, quindi non ci sono fondamentalmente tracce di colore. Rappresenta una figura femminile incedente con una gamba, quella destra, leggermente flessa e avanzata, e l’altra arretrata”. Paola Sconzo ha poi descritto le caratteristiche dell’abbigliamento: una combinazione insolita e inedita basata su un chitone e un peplo. “Vi è, al di sotto del peplo, un chitone, quindi una leggerissima tunica che noi possiamo praticamente notare soltanto sul piede che sporge da sotto il peplo”. “Lo schema generale – ha aggiunto – è quello della composizione delle Korai arcaiche, che si conoscono dalla cosiddetta colmata persiana. Il confronto più stretto è con la Kore di Euthydikos, un po’ più tarda, che ci avvicina alla datazione stessa del nostro pezzo. Oltre che chiaramente augurarci in un futuro, eventualmente, di trovare la parte superiore, ci auguriamo di trovare anche il basamento, perché il basamento in realtà fornisce tantissime informazioni sia sull’artista sia sulla committenza. Per chiudere il cerchio, forse, il confronto più vicino è invece quello con la scultura selinuntina, in particolare con il Tempio E e la metope di Atena ed Encelado. Rispetto alla prima datazione, che parlava di una statua tardo-arcaica di fine secolo, sulla base di questi nuovi confronti, – ha precisato Paola Sconzo –  tendiamo a ribassare un po’ la datazione all’inizio del V secolo a.C., quindi ad un’epoca sempre più antica rispetto al Giovinetto di Mozia. Quello che ci colpisce di più di questa statuaria greca che noi rinveniamo in ambito non greco – ha osservato ancora – è che c’è sempre qualcosa di stonato, una qualche incoerenza nella composizione della figura. Ad esempio, nella nostra statua, il peplo viene sollevato dalla gamba che sta dietro, e non da quella incedente, come avviene in tutte le altre Korai che conosciamo”.

“La stessa stranezza si può riferire anche al contesto di rinvenimento. A nostro parere la statua è forse anche all’origine esposta all’interno dell’officina dei vasai. Chi doveva rappresentare? Probabilmente una figura divina, un Genio protettore. Ma tutto questo ci racconta anche la storia di una categoria di cittadini, i vasai, che a Mozia sembra aver avuto una dignità importantissima perché quella dei Vasai, lo ricordo ancora, è l’unica professione che viene menzionata nelle rarissime iscrizioni fenice che abbiamo rinvenuto sull’isola. Il ritrovamento di questa statua, che per noi era inaspettato, – ha aggiunto Paola Sconzo – rappresenta plasticamente anche la peculiarità di Mozia e della nostra Missione. La Giovinetta è stata rinvenuta praticamente l’ultimo giorno di scavo. Però questa volta ad asportare i quintali di terra che la coprivano (nel corso di 7 settimane, oltre 2 m di terra), non sono stati gli operai specializzati, ma tutti i nostri studenti e sono loro, per me, che l’hanno scoperta, – ha concluso emozionata la Direttrice scientifica Paola Sconzo – sono tutti giovani in formazione che hanno trovato in Mozia una palestra, una scuola di Archeologia e anche di comunità. Grazie a tutti!”.