Su Nature, la rivista scientifica più prestigiosa del mondo, c’è la firma di Alessia Centonze, marsalese

Su Nature, la rivista scientifica più prestigiosa del mondo, c’è la firma di Alessia Centonze, marsalese

I risultati delle ricerche della nostra concittadina sono stati compendiati in un articolo che esplora i meccanismi del funzionamento delle cellule staminali. Da Marsala a Siena, passando per Torino, fino a Bruxelles: il percorso della giovane ricercatrice iniziato al Liceo Scientifico e approdato nell’olimpo della letteratura scientifica internazionale

Porta la firma di Alessia Centonze, giovane ricercatrice marsalese di appena 28 anni, un articolo pubblicato nell’agosto scorso sulla prestigiosa rivista Nature ed entrato così nell’olimpo della letteratura scientifica internazionale. Un traguardo prezioso, frutto di duri anni di lavoro, passione, forza e costanza, di un amore per la scienza e la ricerca che ha spinto la dottoressa Centonze a lasciare la sua Marsala per trasferirsi prima a Siena, poi a Torino ed infine a Bruxelles dove lavora tutt’ora e dove ha trovato l’opportunità di seguire il complesso lavoro di ricerca i cui risultati sono stati condivisi con il tutto il mondo proprio l’estate scorsa. 

Diplomatasi al Liceo Scientifico P. Ruggieri di Marsala, Alessia Centonze si è laureata in Biotecnologie con il massimo dei voti, nel luglio del 2014, presso l’Università degli Studi di Siena. Nell’ottobre 2016, ha ottenuto la Laurea magistrale in Biotecnologie mediche presso l’Università degli Studi di Torino con una votazione di 110/110 il cui lavoro di tesi è stato pubblicato nella rivista scientifica EMBO Molecular Medicine con pubblicazione della tesi raccomandata. 

Nel gennaio del 2017, la dottoressa Centonze ha infine avviato il proprio Dottorato di ricerca, attualmente in corso, in Scienze Mediche e Farmaceutiche presso la Universitè libre de Bruxelles, con una tesi che mira a definire i meccanismi che regolano la riattivazione della multipotenza delle cellule staminali della ghiandola mammaria, sotto la supervisione del dott. Cédric Blanpain, noto nel panorama scientifico internazionale per alcuni importanti studi che hanno trovato applicazione in tutto il mondo.

Dottoressa Centonze, su cosa è incentrato il suo studio pubblicato su Nature?

L’articolo pubblicato ha come obiettivo caratterizzare i meccanismi che regolano il cambiamento tra unipotenza e multipotenza delle cellule staminali basali della ghiandola mammaria nel contesto dell’ablazione specifica delle cellule luminali. Si tratta di cellule staminali adulte di cui ho studiato il comportamento in una situazione fisiologica. E’ uno studio su cui il dott. Blanpain puntava molto e riguardo al quale tanti laboratori stanno cercando risposte. Se avessimo trovato noi la risposta, sarebbe stato un traguardo eccezionale. 

Ed è stato così?

Si, il nostro team ha sviluppato un approccio genetico innovativo che permette di marcare in modo specifico le cellule basali e seguirle nel tempo, combinato all’ablazione delle cellule luminali. In tal modo, abbiamo dimostrato che l’ablazione specifica delle cellule luminali comporta l’attivazione della multipotenza delle cellule basali che cambiando le loro caratteristiche rimpiazzano in parte le cellule luminali perse. E’ stato inoltre dimostrato che le cellule basali “attivate” formano una popolazione ibrida prima di differenziarsi in cellule luminali. Abbiamo infine identificato i meccanismi con cui fisiologicamente le cellule luminali inibiscono la multipotenza delle cellule basali, come anche i meccanismi che promuovono la multipotenza a seguito dell’ablazione delle cellule luminali. Si tratta di un meccanismo importante che si replica anche in altre ghiandole. 

Questo studio rientra nel vasto ambito della ricerca oncologica?

Lo studio riguarda cellule sane e bisogna considerare che ci sono altri fattori che promuovono l’insorgenza di un tumore come anche la sua crescita. Questo studio pone le basi per studiare i meccanismi molecolari per cui una cellula staminale differenziata può “cambiare destino” e dare origine ad un altro tipo cellulare. Questi meccanismi potrebbero essere alla base delle prime fasi dello sviluppo del cancro al seno, dato che l’attivazione della multipotenza è associata alle prime fasi di insorgenza di alcuni tipi di questo tumore. Altri ricercatori adesso potranno partire dai nostri risultati per individuare i meccanismi alla base dello sviluppo tumorale. 

Che tipo d’impegno ha richiesto questo lavoro?

E’ stato molto faticoso. Mi hanno affidato un progetto che, in quel momento, non stava portando risultati e io mi sono impegnata per farlo funzionare. Nella fase iniziale abbiamo riscontrato dei problemi che poi siamo riusciti a risolvere. Superato questo scoglio, abbiamo potuto procedere più velocemente. E’ stato un lavoro di squadra che ha richiesto un impegno totale, una presenza costante in laboratorio e l’applicazione di rigorose metodologie.

Cos’ha provato quando le hanno detto che il suo studio sarebbe stato pubblicato su Nature?

Anche questo aspetto non è stato semplice. Il processo di pubblicazione di un articolo scientifico può essere molto lungo, dato che l’articolo deve rispondere al metodo scientifico stesso, quindi i risultati devono essere solidi e riproducibili. Prima il lavoro viene esaminato da un editore della rivista scientifica e successivamente da altri ricercatori in grado di valutare il lavoro svolto. Nel nostro caso, dopo questa prima fase, abbiamo ricevuto una complessa serie di richieste di approfondimento. Il mio capo mi disse che non aveva mai ricevuto una revisione così difficile ed era tentato di non procedere. Ma io chiesi di andare avanti. Era diventata una sfida con me stessa. Lui ha voluto darmi fiducia. Ho dedicato un intero anno della mia vita a questa revisione. E’ indescrivibile la gioia e la soddisfazione che ho provato quando alla fine hanno accettato di pubblicarlo. Oltre all’articolo, hanno pubblicato in copertina anche un’immagine realizzata da me. Mi ha ripagato di tanti sacrifici.

Come si svolge il lavoro di una ricercatrice?

Non ci sono orari, soprattutto nei momenti più delicati. Ci sono stati periodi in cui ho dovuto lasciare da parte tutto il resto e momenti di grande stanchezza e di sconforto. Ci vuole una grande passione. Non consiglierei questa strada a nessuno che non senta una vera passione per la ricerca. La ricerca assorbe totalmente. Anche nelle ore di riposo, il mio pensiero tornava costantemente allo studio in corso. E’ un continuo porsi domande e, in tutto ciò, si ha sempre bisogno dell’esperienza dell’altro. Nessuno è onnipotente ma ognuno è indispensabile. E’ un lavoro che richiede tanta fiducia in se stessi ma anche nelle competenze altrui: bisogna aiutarsi l’un l’altro senza sentirsi mai da meno. Allo stesso tempo, è tutto rigidamente programmato. Ci sono protocolli molto rigidi a cui non possiamo sottrarci. 

Cosa serve per portare avanti una ricerca?

Molto studio, tantissima pazienza, fiducia nelle proprie capacità, testardaggine ed anche un po’ di fortuna. Non bisogna perdere di vista il proprio obiettivo, nemmeno nei momenti di maggiore scoraggiamento. Non è una vita semplice. Si è sottoposti ad un notevole stress che bisogna imparare a focalizzare, senza farsi sopraffare. Deve diventare uno stress produttivo che spinge a dare il massimo. E’ qualcosa che s’impara sul campo. Una caratteristica che non pensavo di possedere. E’ molto importante anche la presenza di un capo che conceda fiducia. 

Quando ha capito che la ricerca sarebbe stata la sua strada?

Ho sempre amato il lavoro in laboratorio. Non ho mai provato interesse per la carriera da medico e volevo contribuire ad ampliare le conoscenze sul campo oncologico, capire come e perché una cellula cambia. 

Perché ha deciso di andare a Bruxelles?

Durante il tirocinio a Torino mi sono resa conto di quanto fosse complicato fare ricerca in Italia, sia dal punto di vista economico che per lo scarso riconoscimento dato al lavoro stesso. Fare ricerca significa sacrificare molto della propria vita personale. Non me la sono sentita di avviare un percorso del genere nel contesto italiano. Allo stesso tempo, ero decisa a continuare. Così ho cominciato ad ampliare l’orizzonte. Ho svolto una serie di ricerche personali e diversi colloqui. Infine ho fatto richiesta presso il Laboratorio di Cellule staminali e Cancro dell’Universitè libre de Bruxelles, in cui lavoro adesso, e mi è stata offerta la possibilità di intraprendere il dottorato di ricerca. 

Com’è stato l’arrivo in Belgio?

Ero già abituata a vivere lontano da casa. Pensavo pertanto che sarebbe stato più facile. All’inizio invece ho avuto qualche difficoltà. All’estero non è tutto perfetto come talvolta si crede. Ho dovuto imparare il francese e l’ho fatto da autodidatta. Ho avuto la fortuna di avere due coinquilini francesi che mi hanno aiutato molto. Ormai vivo in Belgio da quattro anni e mi trovo molto bene. 

In cosa si differenzia il clima lavorativo da quello italiano?

Il Belgio punta molto sulla ricerca. Ci sono molti laboratori d’eccellenza. E’ un ambiente stimolante in cui, se hai un’intuizione valida, puoi trovare il sostegno necessario per portarla avanti. Mettono a disposizione molte borse di studio. La giovane età non è mai stata un problema. Contano invece molto le idee che si mettono in campo. Ci sono tantissimi scienziati italiani e la loro preparazione è riconosciuta. Nel laboratorio in cui lavoro io siamo in 35. Ci sono ricercatori provenienti da ogni parte del mondo. Sei sono italiani. Anche dal punto di vista economico, il trattamento è alquanto diverso. Anche in Italia ho trovato tutor molto in gamba ed ho ricevuto fiducia da loro ma il rapporto che si instaura è diverso. 

Cosa pensa di fare una volta finito il dottorato?

Credo sia il lavoro più bello del mondo. Penso di rimanere nel campo della ricerca, probabilmente ancora all’estero. Allo stesso tempo, vorrei fare nuove esperienze: credo sia un’occasione di crescita professionale. 

Da ricercatrice, cosa pensa del lavoro svolto dai suoi colleghi in riferimento al Covid – 19?

Tutto il mondo scientifico si è praticamente fermato per concentrarsi sul Covid-19. Alla luce della mia esperienza di ricerca posso solo lontanamente immaginare quanto impegno, quanti sacrifici e quanto lavoro ci sia stato nella lotta al Covid e nella creazione di un vaccino da parte dei miei colleghi ricercatori. I protocolli di ricerca sono molto rigidi, le fasi di sperimentazione sono molto accurate. Questo garantisce la validità dei risultati raggiunti. Quello che mi auguro è che da questa disgrazia si impari a dare più fiducia alla scienza e alla ricerca, non solo a parole, ma con i fatti.

Ritiene che oggi non sia ancora così?

Ritengo che non tutti, non ancora, siano pronti a dare piena fiducia alla scienza.

Com’è la vita a Bruxelles?

E’ una città che adoro. Possiede i vantaggi di una capitale ma a misura d’uomo. Offre tante opportunità e, grazie al suo carattere internazionale, ha uno sguardo differente sul mondo. Per molti tuttavia è spesso una città di passaggio.

Antonella Genna